Il 23 luglio scorso il premier bulgaro, Plamen Orešarski, ha annunciato le sue dimissioni e quelle del suo governo. Il Presidente Rossen Plevneliev, dopo avere sciolto il parlamento, ha nominato un governo ad interim per preparare le elezioni politiche anticipate, previste per il 5 ottobre prossimo, a cui parteciperanno sette coalizioni e 22 partiti politici. L’esecutivo di minoranza dell’economista Orešarski era stato a sua volta eletto dopo il voto anticipato di maggio 2013, con l’appoggio del Partito Socialista bulgaro (BSP) in coalizione con il partito della minoranza turca (DPS) e l’appoggio del partito degli ultranazionalisti di Ataka.
Le ragioni della caduta del governo Orešarski sono molteplici: indebolito dal riaccendersi delle proteste popolari e dall’instabilità politica, non è riuscito ad avviare le necessarie riforme della sanità e delle pensioni e sin dall’inizio si è compromesso con nomine poco trasparenti in cariche importanti nel settore pubblico e nella magistratura, aumentando la percezione di corruzione nell’opinione pubblica. Senza contare le contraddizioni relative al progetto South Stream: l’esecutivo intendeva proseguire i lavori del gasdotto, ma ha subito sinificative pressioni dalla Commissione Europea. Il DPS, Movimento per i Diritti e le Libertà, ha quindi revocato l’appoggio al governo e i lavori hanno subito uno stop, mentre sarà il prossimo governo a dover prendere una decisione relativa al progetto. Le dimissioni sono divenute inevitabili dopo il deludente esito elettorale del partito socialista alle recenti europee, vinte dal partito di centro-destra GERB.
In queste settimane, i partiti politici bulgari si stanno preparando alle elezioni anticipate con una campagna elettorale molto combattuta. GERB, il partito di centrodestra di Boyko Borisov, forte della sicurezza dei numeri, pone molta enfasi sulla necessità di un settore economico ed energetico forte, criticando duramente il mandato del BSP. Dall’altra parte dello spettro politico, il nuovo leader (eletto a fine luglio) del BSP, il Partito Socialista, Mihail Mikov, afferma come lo scenario apocalittico del Paese illustrato dal GERB costituisca una scusa per giustificare i progetti del partito di Borisov di alzare le tasse ed i prezzi dell’elettricità.
Il leader del BSP difende il governo di Oresharski, in grado di aumentare le riserve fiscali da 4 a 8 miliardi, e il progetto South Stream come volano per la creazione di lavoro e l’aumento delle entrate. Nel programma dei socialisti trova spazio anche una tassazione progressiva sui redditi personali e familiari, la “reindustrializzazione” della Bulgaria, nonché la realizzazione di una centrale nucleare a Belene da affiancare allo stop all’esplorazione ed estrazione di gas.
Il DPS, il partito tradizionalmente legato alla minoranza turca e che ufficialmente ha sempre fatto parte della coalizione di centro-sinistra, attraverso il suo leader Lyutvi Mestan ritiene che il Paese abbia bisogno di una transizione soft verso la democrazia, mentre la coalizione ultra-nazionalista di estrema destra del Fronte Patriottico (costituita dal Movimento Nazionale per la Salvezza della Bulgaria e dal VMRO) sostiene che le principali priorità siano il ravvivamento dell’economia bulgara e l’aumento delle entrate, parallelamente alla lotta al contrabbando, alla difesa dell’etnia bulgara ed alla neutralità nella crisi ucraina.
Gli ultimi sondaggi danno il GERB nettamente in testa con il 35,4% di preferenze (in aumento del 12,2% rispetto alle scorse elezioni politiche), con il BSP al 23,2%, il DPS all’11,2% e gli altri partiti attestati sotto l’8% di voti. Altamente probabile quindi una sconfitta dei partiti di centro e centro-sinistra a favore di una coalizione di centro-destra capeggiata dal GERB, che è lontano dal potere da un anno e mezzo. Altrettanto probabile è che il partito avrà grandi difficoltà nell’assemblare una coalizione, come del resto già accaduto nel febbraio 2013, quando non riuscì a formare un proprio governo ed il suo esecutivo si dimise a seguito di un’ondata di proteste di piazza contro povertà e corruzione. La speranza è che comunque le dimissioni di Orešarski pongano fine alla latente crisi politica, alla stagnazione economica ed alle turbolenze sociali nel Paese più povero dell’UE. Se la Bulgaria dovesse finalmente avere un governo stabile in autunno, l’aumento della domanda interna e delle esportazioni avrà effetti positivi sul PIL e sull’attrazione di nuovi investimenti verso il Paese.
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