sabato 14 giugno 2014

Un banco a scuola per Rateb

"Solo 40 dei 2mila bambini profughi presenti in Bulgaria frequentano la scuola". L'allarme è stato lanciato dal presidente dell'Agenzia statale dei profughi, Nikolaj Cirpanliev, nel suo intervento alla tavola rotonda "Accesso dei bambini profughi al sistema d'istruzione in Bulgaria", organizzata nei giorni scorsi dalla Caritas con la cooperazione dell'Amministrazione del Presidente della Repubblica. I motivi sono diversi. Dopo la massiccia ondata di profughi siriani in Bulgaria iniziata dall'estate del 2013, trovando tra l'altro il Paese abbastanza impreparato ad accoglierli, oggi la loro integrazione e soprattutto l'accesso dei figli a scuola è una questione di primo piano.

Un Paese ritenuto "di passaggio". Perché i bambini non vanno a scuola? La risposta arriva di nuovo da Cirpanliev che racconta come la maggior parte dei profughi "arriva in Bulgaria convinta di poter proseguire per gli altri Paesi dell'Europa occidentale e per questo, in attesa di ricevere lo statuto, non vedono necessario mandare i figli alla scuola bulgara". La realtà però è ben diversa. Secondo il regolamento di Dublino, lo straniero è obbligato a rimanere nel primo Stato dell'Ue che lo ha accolto.

La barriera linguistica. Tenendo presente la situazione, le istituzioni competenti e il ministero dell'istruzione bulgaro si stanno preparando ad accogliere questi 2mila bambini nelle scuole "perché il loro posto è lì e non dietro il recinto dei centri di accoglienza", afferma Stanislav Georgiev dall'Ispettorato regionale d'istruzione a Sofia. Il quale aggiunge: "Altrimenti si rischia la segregazione di questi immigrati". Ora nella capitale bulgara ci sono cinque posti dove i ragazzi frequentano lezioni di bulgaro. "Il problema principale nella loro integrazione scolastica è la barriera linguistica", chiarisce Ivan Ceresciarov di Caritas Sofia. Egli racconta che "molti dei ragazzi sono in classi inferiori alla loro età e la difficile comprensione del materiale scolastico li porta a una successiva perdita di interesse e di motivazione".

La strada giusta. Secondo il segretario generale della Caritas in Bulgaria, Emanouil Patascev, "l'integrazione dei ragazzi passa attraverso l'intergrazione delle loro famiglie nella cultura bulgara e nella società". "Per questo - prosegue - sono necessarie delle azioni mirate da parte dello Stato, dalle istituzioni competenti e dalle ong". "Solo così possiamo aiutare questi piccoli già tanto provati", conclude. Intanto la Caritas con l'aiuto dei fondi europei ha preparato diversi sussidi didattici per l'apprendimento del bulgaro e una migliore integrazione scolastica, disponibili on-line nel sito dell'organizzazione.

Un racconto sofferto. Sir Europa ha incontrato uno di questi giovani giunti da profughi nel Paese europeo. L'appuntamento è all'art terapia che frequenta dopo le lezioni di bulgaro nel Centro d'integrazione a Sofia. Si chiama Rateb Avril, ha 19 anni, ed è palestinese di Siria, il più grande di 6 fratelli. Vivevano nel quartiere palestinese di Damasco, Yarmouk camp, devastato dall'esercito regolare siriano nel 2012. "C'erano le bombe che esplodevano sotto i nostri occhi. Lì ho perso molti dei miei parenti", racconta. Così, spinti dalla guerra, fuggono, mamma e figli, in Libano e dopo aver attraverso la Turchia arrivano al confine bulgaro dove sono accolti dalle autorità d'immigrazione. "Il viaggio è stato lungo, abbiamo camminato per intere giornate nei boschi ma ora tutto è a posto", dice Rateb con un bel sorriso, nonostante il racconto a tratti sofferto. Impressiona il fatto che le prove non lo hanno piegato: è rimasto un ragazzo carico di ottimismo e di sogni.

Per rifarsi la vita. Il giovane Rateb vorrebbe studiare "architettura in Bulgaria e farsi qui una vita con un bel lavoro e una famiglia". Infatti si vede che ha un talento per il disegno: tiene in mano un dipinto del monastero di Rila, uno dei luoghi più celebri in Bulgaria. "Frequento le lezioni di bulgaro sia la mattina sia la sera e poi vengo nell'atelier dell'art terapia per disegnare". Racconta: "I bulgari mi piacciono", anche se qui ha pochi amici, "la maggior parte dei quali sono della comunità siriana locale". "Per questo l'integrazione nella scuola è importante, spiega Marianna Zasceva, esperta nel Centro d'integrazione, convinta che "una volta entrati in classe, i ragazzi profughi ottengono velocemente dei buoni risultati". In questi giorni la famiglia di Rateb presenterà la domanda di ricongiungimento familiare perché il padre, rimasto a Damasco, possa raggiungerli. "Così finalmente potremmo rifarci una vita tutti insieme, lontano dalla guerra", sogna il ragazzo palestinese.


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