mercoledì 10 settembre 2014

La guerra del gas: la Bulgaria al centro del braccio di ferro tra Russia e UE

di Giuseppe Consiglio
 
La coreografica danza delle reciproche sanzioni tra Russia e UE, corollario della conclamata guerra che da mesi seguita a funestare l’Ucraina, non poteva che coinvolgere la realizzazione del South Stream. Il gasdotto che dovrebbe raggiungere l’Europa Centrale consentendo al gas russo di bypassare l’Ucraina è un progetto di rilevanza strategica cruciale per entrambe le parti, paradigma dell’inestricabile selva di interessi che lega indissolubilmente – almeno per ora – Mosca a Bruxelles. E nella guerra (economica) delle sanzioni incrociate – non ultimo il pacchetto approvato la sera dell’8 settembre, che coinvolge le maggiori aziende petrolifere russe, ma messo in stand-by – la partita del South Stream assume contorni sempre meno definiti che sfumano nella nebulosa dei contrapposti imperativi di sicurezza energetica e delle norme del diritto europeo ed internazionale.
Il riacuirsi delle tensioni diplomatiche tra la Commissione ed il Cremlino ha portato dunque ad un nuovo stop dei lavori del South Stream da parte delle autorità bulgare, costrette ad interromperne la costruzione per via delle pressioni sempre più insistenti di Bruxelles. Inevitabilmente, il blocco dei cantieri in Bulgaria, il primo Paese che il gasdotto incontra dopo aver attraversato il Mar Nero, non potrà che compromettere o almeno ritardare l’implementazione del progetto che entro il 2018 veicolerà annualmente in Europa 63 miliardi di metri cubi di gas naturale pari al 35% complessivo delle forniture russe. Gli interessi energetici bulgari e di buona parte dell’Europa Centrale e Meridionale, rischiano in sostanza di esser sacrificati sull’altare di una guerra economica che l’UE sembra intenzionata a portare avanti contro la Russia per costringere Putin ad allentare la presa su Kiev. Una guerra tutt’altro che priva di conseguenze per i Paesi dell’Unione.
La Commissione dispone certamente di parecchi strumenti persuasivi per indurre Sofia ad interrompere i lavori pregiudicando i suoi stessi interessi di sicurezza energetica. Un’analisi di questi strumenti, di come l’UE li utilizzi e sulla base di quale strategia geopolitica, risulta decisiva per comprendere il ruolo di tutti gli attori coinvolti: Mosca e Bruxelles, Kiev e Sofia, Gazprom e Washington.
Un interrogativo potrebbe esser quello legato alle tempistiche con cui la Commissione ha minacciato l’avvio di una procedura di infrazione contro la Bulgaria per via delle modalità di assegnazione degli appalti che pare contravvengano alle norme comunitarie: se l’obbiettivo di alzare il livello dello scontro con il Cremlino rallentando la costruzione del South Stream sembra essere la ragione principale delle pressioni della Commissione su Sofia, agitare lo spauracchio della guerra ucraina per contenere i russi potrebbe in realtà celare l’intenzione di Bruxelles di mettere pressione sulla Bulgaria forse troppo accondiscendente nei confronti di Mosca da cui dipende per gli approvvigionamenti energetici. Il risultato in entrambi i casi è identico e porta al blocco dei lavori, ma il punto di vista cambia decisamente.
 

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