martedì 17 giugno 2014

Bulgaria bipolarizzata

La crisi ucraina ha sollevato vivo e diffuso allarme in tutta l’Europa orientale ex comunista, a torto o a ragione timorosa di ricadere vittima di un recidivo espansionismo russo. Con differenze sensibili, certo, tra i diversi Paesi. Le preoccupazioni maggiori, con conseguenti richieste a chi più può di correre ai ripari, si sono naturalmente registrate in quelli direttamente confinanti con la Federazione governata da Vladimir Putin e/o contenenti minoranze russe più o meno numerose. E tali, quindi, da attirare mire simili a quelle che hanno provocato il cambio di bandiera per la Crimea o da incendiare anche il Donbass ucraino e renderne oltremodo incerto il futuro.

A questa categoria non appartiene la Bulgaria, che nel più ampio quadro della crisi non solo locale iniziata con la rivoluzione o rivolta di Maidan ha semmai trovato modo di distinguersi, semmai, per un comportamento opposto, che non può non richiamare alla memoria quelli che erano stati i connotati del Paese balcanico fino al crollo della cortina di ferro nel 1989, partendo dalla comunistizzazione all’indomani della seconda guerra mondiale ma in fondo da assai più indietro nel tempo.

Il suo legame con la Russia, già ancestralmente solido per motivi etnico-linguistico-religiosi, era stato infatti rafforzato anche sul piano sentimentale dal decisivo contributo degli eserciti zaristi alla liberazione dalla lunga dominazione ottomana nel corso del 19° secolo. E se nella prima guerra mondiale il giovane regno si era schierato a fianco degli Imperi centrali contro tutto o quasi il mondo slavo, venendo coinvolto nella loro sconfitta, una simile scelta di campo andava addebitata alla monarchia di origine tedesca e non certo alla volontà popolare.

Durante il secondo conflitto mondiale, benchè alleata con la Germania di Hitler, la Bulgaria non partecipò all’invasione dell’URSS e neppure le dichiarò guerra, cosa che alla fine fece invece Stalin con essa per poterla trattare come Paese vinto e imporle più facilmente un regime comunista. Il quale si distinse poi per decenni come il più ligio e ossequioso nei confronti di Mosca tra tutte le “democrazie popolari”, giungendo al punto da ventilare l’annessione alla potenza egemone nell’Europa orientale.

Oggi la Bulgaria più attendibilmente democratica è membro a pieno titolo dell’Alleanza atlantica (dal 2004) e dell’Unione europea (dal 2007), ma ciò non le impedisce di mantenere anche con la nuova Russia un rapporto per certi aspetti speciale. Qualcuno insinua che la forza politica più spesso al potere a Sofia, il Partito socialista erede diretto di quello comunista, conserva tuttora non poco dei vecchi legami con ambienti moscoviti. La democrazia bulgara, del resto, è non meno e semmai ancor più inquinata di quella russa dallo strapotere di fatto dei cosiddetti oligarchi.

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