La crisi ucraina ha sollevato vivo e diffuso allarme in tutta l’Europa
orientale ex comunista, a torto o a ragione timorosa di ricadere vittima di un
recidivo espansionismo russo. Con differenze sensibili, certo, tra i diversi
Paesi. Le preoccupazioni maggiori, con conseguenti richieste a chi più può di
correre ai ripari, si sono naturalmente registrate in quelli direttamente
confinanti con la Federazione governata da Vladimir Putin e/o contenenti
minoranze russe più o meno numerose. E tali, quindi, da attirare mire simili a
quelle che hanno provocato il cambio di bandiera per la Crimea o da incendiare
anche il Donbass ucraino e renderne oltremodo incerto il futuro.
A questa categoria non appartiene la Bulgaria, che nel più ampio quadro della
crisi non solo locale iniziata con la rivoluzione o rivolta di Maidan ha semmai
trovato modo di distinguersi, semmai, per un comportamento opposto, che non può
non richiamare alla memoria quelli che erano stati i connotati del Paese
balcanico fino al crollo della cortina di ferro nel 1989, partendo dalla
comunistizzazione all’indomani della seconda guerra mondiale ma in fondo da
assai più indietro nel tempo.
Il suo legame con la Russia, già ancestralmente solido per motivi
etnico-linguistico-religiosi, era stato infatti rafforzato anche sul piano
sentimentale dal decisivo contributo degli eserciti zaristi alla liberazione
dalla lunga dominazione ottomana nel corso del 19° secolo. E se nella prima
guerra mondiale il giovane regno si era schierato a fianco degli Imperi centrali
contro tutto o quasi il mondo slavo, venendo coinvolto nella loro sconfitta, una
simile scelta di campo andava addebitata alla monarchia di origine tedesca e non
certo alla volontà popolare.
Durante il secondo conflitto mondiale, benchè alleata con la Germania di
Hitler, la Bulgaria non partecipò all’invasione dell’URSS e neppure le dichiarò
guerra, cosa che alla fine fece invece Stalin con essa per poterla trattare come
Paese vinto e imporle più facilmente un regime comunista. Il quale si
distinse poi per decenni come il più ligio e ossequioso nei confronti di Mosca
tra tutte le “democrazie popolari”, giungendo al punto da ventilare l’annessione
alla potenza egemone nell’Europa orientale.
Oggi la Bulgaria più attendibilmente democratica è membro a pieno titolo
dell’Alleanza atlantica (dal 2004) e dell’Unione europea (dal 2007), ma
ciò non le impedisce di mantenere anche con la nuova Russia un rapporto
per certi aspetti speciale. Qualcuno insinua che la forza politica più
spesso al potere a Sofia, il Partito socialista erede diretto di quello
comunista, conserva tuttora non poco dei vecchi legami con ambienti moscoviti.
La democrazia bulgara, del resto, è non meno e semmai ancor più inquinata di
quella russa dallo strapotere di fatto dei cosiddetti oligarchi.
continua a leggere qui
Nessun commento:
Posta un commento