Oggi, però, il problema che la Bulgaria sta affrontando passa solo geograficamente attraverso la Turchia. Dallo scoppio della crisi in Siria, infatti, sono stati oltre 10.000 i profughi giunti in Bulgaria dal paese di Bashar al Assad, proprio attraverso i territori turchi e in particolare il confine nella regione di Elhovo. L’esercito bulgaro, in questi giorni, ha iniziato ad erigere, proprio lungo questo confine, un muro che entro la fine dell’anno prossimo si estenderà per oltre 100 chilometri. L’esigenza è quella di limitare l’ingresso di migranti, sotto le pressioni della popolazione bulgara, che per il 90% ritiene questo afflusso record una minaccia concreta per la sicurezza nazionale, e dei paesi dell’area Schengen, che, nell’ormai ridondante ossimoro con i principi della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo, continuano a propugnare simili, ripugnati, soluzioni.
Più che cercare un parallelismo con il muro di Berlino o quello di Gaza, sarebbe, forse, più opportuno farlo con i confini che dividono gli Stati Uniti dal suo vicino del Sud, il Messico. Filo spinato, esercito e gruppi paramilitari dall’ampia discrezionalità e altissime mura di cemento, impediscono da decenni l’ingresso negli Stati Uniti di gran parte di coloro che, dalla povertà di Tijuana e dintorni, cercano maggiore fortuna o semplicemente un lavoro nell’edilizia in Texas. La situazione, qui, però, è ancora più grave: qui, oggi, a cercare rifugio dalla Siria, sono esseri umani che vengono privati dei propri diritti fondamentali e non di un semplice lavoro.
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